venerdì 9 ottobre 2015

Nichilismo 2.0

Riflettevo. In maniera proustiana.
Oggi è venerdì, la giornata o più devastante o più pacchiana della settima,a a seconda di come la prendi. Non è né pacchiana né devastante, è solo una fredda giornata di ottobre dove mi si sono gelate le dita e con apatia scorro le notifiche di Facebook.
Scorro e mi trovo un post, dove il soggetto si lamentava che nessuno lo capiva, nessuno poteva nemmeno capire cosa stesse passando e che "scusate se vi odio".
p.s.: è un mio coetaneo, gente di più di trent'anni, non stiamo parlando di un teenager.
Questi assolutismi mi colpiscono nella mia parte più  intima, perché se non ve ne foste accorti, siamo tutti diversi. Abbiamo tutti un background diverso e una serie di esperienze che dalla tenera età ci arricchiscono fino a farci diventare quello che siamo, gli individui che si rapportano con altri individui che hanno a loro volta esperienze e caratteri diversi che si sono formati interfacciandosi con altri individui, influenzandosi a vicenda. E bla bla bla.
Solo questo dovrebbe farvi girare la testa, l'effetto immensità.
Spesso mi è stato rimproverato che non comprendevo certi meccanismi umani, senza poi nemmeno tentar di farmeli comprendere. E altrettante volte ho decretato io che "non mi capisce nessuno, siete tutti delle merde".
Dopo anni sono arrivata a un dunque, a un'illuminazione. Se la gente non ti capisce, spesso  sei tu la persona intollerante che non vuol farsi capire.
Pretendere la comprensione da una persona che non ti può capire scatena il malcontento, e il malcontento scatena l'astio, l'astio la rottura dei rapporti e la persona a cui hai puntato il dito si ritrova lasciato lì sul ciglio della strada confuso e senza una spiegazione logica su cosa ha fatto realmente, solo con la scusa del "non puoi capire come mi sento".
Bene, è un discorso generalizzato, ma ognuno ha il suo punto di vista. E stiamo parlando di psicologia da giornaletto, non psicologia seria. Quella non te la spiegano a prender il caffè, non riguarda intoppi umani come la non comprensione del linguaggio base.
Sono una persona che mette la psicologia sullo stesso piano dell'omeopatia, so di sbagliare come approccio, ma ho visto tante casalinghe annoiate andare dall'analista e tante persone non accettare che possa servire  lo psichiatra, perché suona male, sembra roba per malati psichiatrici.
Il problema della psicologia è che è troppo accessibile a tutti. E spesso anche persone incompetenti fanno questo mestiere. Un po' come ovunque.
Tornando al discorso principale, dopo anni e anni di relazioni con altri individui sono arrivata a una mistica conclusione.
A nessuno frega un cazzo di te e di quello che fai per il prossimo.
Parliamoci chiaramente, ognuno tira l'acqua al suo mulino, siamo creature egoiste e egocentriche. Se facciamo del bene ci aspettiamo una ricompensa, non siamo capaci di attuare il "fai del bene e dimenticatene", una ricompensa di ogni genere, ma nulla è come la ricompensa di attenzioni.
Se facciamo del male siamo sempre pronte a giustificarci, a creare castelli di carta che tengano alta la propria reputazione. Siamo disposti a mentire a noi stessi pur di dormire bene la notte. di far passar male l'altro pur di giustificare noi stessi. Oppure scatta il vittimismo ("non sei tu, sono io fatto male")
Se ci facciamo del bene siamo giudicati come esseri frivoli,persone che vivono con leggerezza e "che non ha problemi" (come fosse un male, poi), se ci facciamo del male la società ci commisera e non si sa spiegare la motivazione, stupita. Insomma, non abbiamo soluzione per star bene. E sapete perché? Perché non lo vogliamo. 
Passano gli anni e penso sempre di più che gioire del successo e della felicità del prossimo è sempre più difficile che appoggiarlo nei momenti difficili.
Scattano tanti sentimenti, uno fra tutti l'invidia. Non riuscire a sbrogliare la propria matassa, vedere invece chi ce la fa, fa scattare il gioco del lo voglio anche io ma non posso, perché sono troppo stanco mentalmente per volerlo davvero.
Insomma, studiamo un sacco ma non sappiamo parlare tra di noi.
A quel post lunghissimo avrei voluto rispondere, sinceramente. A trent'anni si presuppone che tu, adulto, abbia già avuto un'infarinatura di come va la vita e spesso ci sono persone che a trent'anni sanno perfettamente come può sempre andar peggio.
Le cose accadono tutte insieme? Si,è un'entropia, vero, comprovato, ma ci puoi far qualcosa? Non credo. Benvenuto nell' età adulta, dove sei responsabile di te stesso, e a volte anche di qualcun'altro, che sia figlio o genitore infermo.
Quando ti crolla tutto addosso in un botto non è meno doloroso di quando ti crolla poco a poco nell'arco di anni. La tolleranza e la sopportazione vengono meno, ti ritrovi comunque da solo in alcune circostanze e pretendere che il cosmo ti comprenda è forse una delle cose più infantili e inattuabili della propria vita.
Nulla, mettevi il cuore in pace, nessuno vi capirà e facendo anche un discorso Leopariano, nemmeno voi.
Leggendo quel post ho avuto l'illuminazione, Si, io non posso capire le tue vicende, la malattia del compagno, il consumarsi inesorabilmente che porta anche la malattia di un genitore, il dover rinunciare a tante cose (che non è che io non ho mai rinunciato a nulla, chiaramente ho anch'io fatto i miei sacrifici) il lavoro che non si trova (come se non fossi mai stata disoccupata).. si, è un bene che non ti comprenda. E non mi sento nemmeno un pelino in colpa perché quello che vivi non è bello.
Ma non farmene una colpa, perché non è una gara a chi ce l'ha più lungo, forse forse se non si fossero accavallate così tante cose, non avresti nemmeno scritto quelle cose.
Si nasce soli e si muore soli, l'aspettativa è solo il guscio da ove nasce la delusione.

Oggi sò filosofa abbestia,

1 commento:

  1. L'autocommiserazione è già una brutta bestia, ma buttarci sopra anche la presunta incomprensione degli altri è da bimbiminkia. Siamo soli, è vero, ma tutti abbiamo attraversato o stiamo attraversando periodi difficili, quindi siamo comunque sulla stessa barca.

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